Counseling: dalle capacità al ruolo professionale. Riflessioni tra sentenze e commissioni.

18 Dic 2015

a cura del Presidente, del
Consiglio nazionale, del Comitato scientifico e dei Coordinamenti territoriali Sipap
Società Italiana Psicologi Area Professionale:

Il tema del counseling legato alla professione dello psicologo si presenta a nostro avviso in modo decisamente articolato. Qui di seguito indichiamo alcuni spunti di riflessione per noi imprescindibili per una discussione.

1. Il counseling va considerato nella sua complessità, rappresentabile in un continuum che va dalla definizione di una serie di competenze trasversali a tutte le professionalità che eseguono i propri atti professionali all’interno di relazioni umane, alla definizione di un ruolo professionale (il counselor). Se ci approcciamo al counseling intendendo una serie di conoscenze, capacità, attitudini che entrano in gioco nella relazione di aiuto o, più in generale, nelle relazioni sia professionali sia formative (che possiamo chiamare counseling skills o non technical skills1), esse allora non possono essere specifiche di un ruolo professionale unico, ma sono utilizzabili da diverse figure professionali (avvocati, medici, educatori, insegnanti, ecc.). Auspicabilmente, tali counseling skills o non technical skills pensiamo possano essere trasmesse al meglio e con i migliori risultati da formatori psicologi che hanno svolto un percorso universitario almeno quinquennale in discipline psicologiche e sono abilitati alla professione di psicologo, perché:
- formati alla conoscenza delle teorie dello sviluppo psichico e professionalmente impegnati nella valutazione della personalità e del funzionamento psicologico individuale, relazionale, gruppale, istituzionale e organizzativo.
- conoscitori esperti della psicologia individuale, dei sistemi relazionali, delle dinamiche psicologiche umane in tutte le fasi della vita, nel sociale, nel lavoro e nella comunità.
D’altra parte siamo altrettanto consapevoli che tale auspicio non può essere obbligatorio o riservato per Legge esclusivamente agli psicologi. Il counselor, inteso come ruolo professionale è invece rimandabile ad un ruolo definito, che utilizza conoscenze acquisite in un percorso di studi chiaro e riconosciuto dagli Enti Ministeriali preposti, che hanno necessariamente al loro interno elementi di valutazione (diagnosi) del disagio e d’intervento riabilitativo, ad oggi propri del professionista psicologo in quanto sanciti all’art. 1 della Legge 56/89 sull’ordinamento della professione di psicologo.
2. L’area della salute, se e quando attinente al counselor, deve essere necessariamente di pertinenza della psicologia e dello psicologo. La stessa legge 4/2013 Disposizioni in materia di professioni non organizzate esplicita all’art. 1 comma 2 che da tali professioni sono espressamente escluse: «…attività riservate per legge a soggetti iscritti in albi o elenchi ai sensi dell’art. 2229 del codice civile, delle professioni sanitarie e delle attività e dei mestieri artigianali, commerciali e di pubblico esercizio disciplinati da specifiche normative. » Anche la recente sentenza del TAR del Lazio afferma che « La definizione dell’attività non regolamentata del counselor, contenuta nel parere del Consiglio superiore di Sanità e recepita dal Mise, non consente a questi operatori di non sconfinare nel campo proprio degli psicologi, come peraltro evidenziato nelle sedute del medesimo Consiglio Superiore del 14 giugno 2011 e del 12 luglio 2011 (si vedano gli allegati 9 e 10 al ricorso), senza considerare che l’attività di counseling è anche materia di scuole di specializzazione riservate a psicologi». Tuttavia segnaliamo che la salute non può essere solo considerata come assenza di malattia o disagio psichico, ma, come ricorda la nota definizione dell’OMS, come «uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale». Nel nostro caso va pertanto considerata con attenzione la relazione tra competenze psicologiche e counseling nell’ottica di tale definizione di salute, onde evitare che allo psicologo competa unicamente la dimensione del malessere o del disagio psichico e che si lasci, a volte in esclusiva, ad altre figure professionali, spesso non definite, la rilevanza del benessere psicologico e della qualità della vita secondo l’ottica biopsicosociale. Inoltre il benessere psicologico e la qualità della vita sono direttamente collegati ai fattori di coesione sociale e convivenza civile auspicati anche in parte delle competenze chiave per l’apprendimento permanente indicate nelle Raccomandazioni del Parlamento Europeo e il Consiglio dell’Unione Europea (2006/962/CE) e successivamente recepite anche dal nostro MIUR.
3. Un altro aspetto problematico su cui poniamo attenzione è il rapporto tra la nostra professione e il mondo esterno rappresentato dalle miriadi di figure, più o meno codificate, più o meno efficaci, più o meno serie, che a qualsiasi titolo propongono rimedi o processi di miglioramento del benessere altrui. Limitare e definire al meglio ciò che è proprio della professione psicologica non può tradursi nella convinzione di poter confinare, contenere e controllare questo mondo così variegato. È un’illusione che però sembra essere presente in certi framing comunicativi rivolti a noi professionisti. Come sappiamo, negli studi sui mass media: « in sociologia e psicologia il termine framing si riferisce ad un processo inevitabile di influenza selettiva sulla percezione dei significati che un individuo attribuisce a parole o frasi. Il framing definisce la "confezione" di un elemento di retorica in modo da incoraggiare certe interpretazioni e scoraggiarne altre. I mass media o specifici movimenti politici o sociali, oppure determinate organizzazioni, possono stabilire dei frames (nel senso specificato) correlati all'uso dei media stessi». A nostro avviso, ogni strategia di intervento che legittimi la nostra professione non deve diventare limitativa della sua espressione e del dialogo con il mondo delle altre professioni regolamentate e non, altrimenti corriamo il rischio di chiuderci all’interno di una gabbia dove i criteri di esclusione e i limiti valgono solo per noi che ne siamo dentro, nell’illusione di controllare ciò che è fuori e perdendoci inoltre importanti opportunità lavorative che possiamo conquistare sul campo della relazione con le altre professionalità valorizzando le nostre specifiche competenze professionali. Certamente lo psicologo professionista è un esperto della relazione umana e certamente è una figura professionale capace di intervenire lungo l’arco dell’intera esistenza della persona su diverse forme di disagio e per favorire il benessere psicologico, ma è cosa ben diversa dire che ha l’esclusiva per le conseguenze cognitive ed emotive di tutti i cambiamenti dell’arco di vita o di tutte le relazioni umane. Più che creare confini e muri che alla fine sono validi solo per le nostre strategie comunicative interne, pur nella consapevolezza dell’importanza di un attento lavoro di tutela dell’utenza interessata alle nostre specifiche competenze professionali, crediamo che sia più proficuo per lo sviluppo della professione dello psicologo sostenere e dimostrare come gli strumenti e i processi d’intervento dello psicologo siano i migliori per la crescita della persona e per lo sviluppo delle sue potenzialità rispetto a processi e strumenti di qualsiasi altra figura o ruolo presenti e futuri. Pensiamo che in questo compito abbia una decisiva rilevanza il lavoro di ricerca degli enti universitari pubblici e privati riconosciuti dal MIUR. Ci auspichiamo per questo che l’attività Accademica e di Ricerca sia sempre più diretta da professionisti psicologi iscritti all’albo professionale che dedicano parte della loro attività alla ricerca e parte alla professione di psicologo, che possono in questo modo contribuire con coerenza allo sviluppo dell’identità professionale dei futuri colleghi e ci auguriamo allo stesso tempo che gli stessi enti di formazione rinforzino sempre più la propria etica della responsabilità costruendo un collegamento chiaro e costante tra la teoria e la pratica professionale, sviluppando e sostenendo servizi psicologici pubblici e privati aperti ai cittadini, ai lavoratori e alle imprese, coinvolgendo e valorizzando sempre più i liberi professionisti psicologi non solo fornendo formazione di qualità ma offrendo anche accreditamenti per lo sviluppo di attività nelle scuole di ogni ordine e grado, nelle imprese, nelle unità socio-sanitarie, negli enti locali, nella comunità locale.

Roma, 18 dicembre 2015

Per il Consiglio Nazionale Sipap

Il Presidente
Pierluigi Policastro

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